Pellegrinaggio a San Gerardo Maiella – Caposele (AV), 27 ottobre 2018

Pubblicato giorno 27 ottobre 2018 - In home page, Notizie

San Gerardo Maiella è il patrono delle gestanti e dei bambini. Sono tante le storie di guarigione straordinaria attribuite a lui; storie di un uomo di fede che alla commozione provata alle lacrime delle mamme e ai vagiti dei bambini rispondeva con la preghiera del cuore: quella intrisa di fede, quella che spinge Dio a compiere miracoli. Il suo culto nei secoli ha travalicato i confini italiani ed è oggi diffuso in America, in Argentina, in Canada, Australia e nei paesi europei. La sua è una vita fatta di obbedienza, di nascondimento, di umiliazione e fatica: con l’incessante volontà di conformarsi al Cristo crocifisso e la consapevolezza gioiosa di fare la sua volontà.

Nacque a Muro Lucano (PZ) il 6 Aprile 1726 da Benedetta Cristina Galella, donna di fede che gli trasmette la consapevolezza dell’immenso amore di Dio per le sue creature, e da Domenico Maiella, un sarto laborioso e ricco di fede ma di modesta condizione economica. I coniugi sono convinti che Dio c’è anche per i poveri, questo permette alla famiglia di sostenere le difficoltà con gioia e forza. Già dalla prima infanzia è attratto dai luoghi di culto, in particolare nella cappella della Vergine a Capodigiano, dove spesso il figlio di quella bella Signora si staccava dalla madre per donargli un panino bianco. Solo da adulto il futuro santo comprenderà che quel bambino era Gesù stesso e non un essere di questa terra. Il valore simbolico di quel pane agevola nel piccolo la comprensione dell’enorme valore del pane liturgico: a soli otto anni cerca di ricevere la prima comunione ma il sacerdote lo respinge per via della sua giovane età, com’era consuetudine a quel tempo. La sera seguente il suo desiderio è esaudito da San Michele Arcangelo che gli offre l’agognata Eucaristia.

A dodici anni la morte improvvisa del padre ne fa la fonte principale di sostentamento della famiglia. Diventa apprendista sarto nella bottega di Martino Pannuto, luogo di emarginazione e maltrattamento per la presenza di giovinastri spesso in atteggiamenti arroganti e discriminanti verso la sua docilità d’animo. Il suo maestro invece ha grande fiducia in lui e nei periodi in cui il lavoro scarseggia lo porta con sé a coltivare i campi. Una sera inavvertitamente Gerardo dà fuoco al pagliaio mentre era lì con il figlio di Martino: è panico generale, ma le fiamme si spengono istantaneamente a un semplice segno di croce e relativa preghiera del ragazzo. Il 5 Giugno 1740 Monsignor Claudio Albini, Vescovo di Lacedonia, gli impartisce il sacramento della Confermazione e lo assume in servizio presso l’episcopio. Albini è noto per il rigore e la poca pazienza ma Gerardo è felice della vita laboriosa che conduce da lui e vive rimproveri e sacrifici come flebili gesti di imitazione del Crocifisso. Ad essi aggiunge pene corporali e digiuni. Anche qui si verificano fatti inspiegabili, come quando gli cadono le chiavi dell’appartamento di Albini nel pozzo: corre verso la chiesa, prende una statuetta di Gesù bambino e invoca il suo aiuto, quindi la lega alla catena e la cala con la carrucola. Quando l’icona viene issata nuovamente è grondante d’acqua ma stringe in pugno le chiavi perdute. Da allora il pozzo è detto di Gerardiello. Alla morte di Albini, avvenuta tre anni dopo, Gerardo lo piange come un amico affettuoso e secondo padre.

Rientrato a Muro tenta per una settimana l’esperienza da eremita in montagna, poi si reca a Santomenna dallo zio padre Bonaventura, cappuccino, al quale confida la volontà di vestire l’abito religioso. Ma lo zio ne respinge la volontà, anche a causa della sua salute cagionevole. Da quel momento e fino a quando non sarà accolto tra i redentoristi il suo desiderio urta sempre contro il diniego generale. Intanto il diciannovenne apre una sartoria e ne compila di proprio pugno la dichiarazione dei redditi. L’artigiano vive una condizione modesta perché il suo motto è chi ha dia qualcosa e chi non ha prenda lo stesso. Il suo tempo libero trascorre in adorazione del tabernacolo, dove spesso dialoga con Gesù al quale dà affettuosamente del pazzerello perché ha scelto di essere recluso in quel luogo per amore delle sue creature. La sua vita illibata è oggetto di attenzione dei suoi compaesani che lo inducono a fidanzarsi, il ragazzo non ha fretta, risponde loro che ben presto comunicherà il nome della donna della sua vita: lo fa la terza domenica di maggio quando ventunenne salta sulla pedana che sfila in processione, infila il suo anello alla Vergine e si consacra a lei con voto di castità, mentre afferma a gran voce di essersi fidanzato con la Madonna.

L’anno seguente (1748), in Agosto, giungono a Muro i padri della giovanissima Congregazione del SS. Redentore, fondata da sedici anni da Alfonso Maria de Liguori, futuro santo. Anche a loro Gerardo chiede di accoglierli e riceve diversi rifiuti. Intanto il giovane partecipa alla liturgia: il 4 Aprile 1749 è scelto come figurante dell’immagine di Cristo crocifisso nella rappresentazione del Calvario Vivente a Muro. La madre sviene quando vede il figlio grondante di sangue dal corpo e dal capo trafitto di una corona di spine in una cattedrale silenziosa e attonita per la rinnovata consapevolezza del sacrificio di Gesù, oltre che per la pena provata verso il giovane figurante. Il 13 Aprile, domenica in Albis, una schiera di redentoristi arriva a Muro: sono giornate intense di adorazione e catechesi. Gerardo partecipa con fervore e si mostra assertivo nella volontà di far parte della Congregazione. I padri ne respingono ancora una volta la volontà e il giorno della partenza consigliano alla madre di rinchiuderlo in camera per evitare che li segua. Il ragazzo non si perde d’animo: lega tra loro le lenzuola e abbandona la stanza lasciando un biglietto profetico alla mamma, affermando vado a farmi santo. Implora i padri di metterlo alla prova, dopo averli raggiunti a diversi chilometri di cammino in direzione di Rionero in Volture. Nella lettera inviata al fondatore Alfonso Maria de Liguori, Gerardo viene presentato come un postulante inutile, fragile e di salute cagionevole. Il ventitreenne intanto è inviato alla casa religiosa di Deliceto (FG), dove il 16 luglio 1752 emetterà i voti.

IL MIRACOLO DEL MESTOLO DELLA PROVVIDENZA E IL REGOLAMENTO DI VITA

Il giovane Gerardo, accusato da Nerea Caggiano di atti impuri con una sua compaesana, dopo aver taciuto ai chiarimenti chiesti il 14 Aprile 1754 dal fondatore dei Redentoristi a Pagani, viene condannato alla segregazione e alla penitenza. Dopo un mese a Ciorani giunge a Caposele, vigilato costantemente da p. Francesco Giovenale che lo invita a scrivere dei suoi propositi e stati d’animo. Il futuro santo si abbandona alla stesura di una sorta di diario, un documento di eccezionale elevazione mistica che sancisce tra l’altro quanto digiuno e penitenza siano necessari a perfezionarsi nell’amore per Dio. Il Regolamento di vita fu composto dunque tra Caposele e la vicina Materdomini in poco meno di venti giorni, periodo al termine del quale fu completamente scagionato dalle accuse. Gerardo torna a Materdomini nel Novembre dello stesso anno: stanco e bisognoso di raccoglimento. Gli vengono invece affidate le chiavi della portineria per l’accoglienza dei bisognosi e dei pellegrini: è volontà di Dio perciò inizia come di consueto un’opera che soverchia il compito assegnatogli, passando incessantemente dalla cucina al giardino, alla sagrestia, e così via; non come colui che comanda ma come un qualsiasi operaio; in perfetto prosieguo dell’atteggiamento tenuto fin dal suo primo ingresso a Deliceto, quando a dispetto della sua salute cagionevole si offriva di sostituire i confratelli sobbarcandosi le fatiche maggiori e più umilianti. A Gennaio 1755 Materdomini è segnata dalla fame: oltre un centinaio di bisognosi bussano alle porte del convento ogni mattina, numero che cresce progressivamente perché gira la voce che Gerardo consola, rifocilla, veste e le sue parole sostengono l’uomo mentre elevano lo spirito. Ben presto il suo atteggiamento desta preoccupazione in cucina: le provviste non sono eterne; lui continua imperterrito perché il pane bisogna darlo a tutti perché è chiesto per amore di Gesù. I confratelli cedono perché prodigiosamente quel mestolo soddisfare tutte le richieste: nonostante la costante crescita dei commensali e la sovente richiesta di porzioni doppie. Ma anche il popolo è consapevole del fenomeno in atto: in tanti conservano parte dell’elemosina ricevuta per sua mano elevandola a reliquia. Ma il santo non cura solo il corpo dei suoi commensali, ogni occasione è buona per svolgere incessante opera a favore degli infermi, soprattutto ammalati nello spirito, come nel caso di una donna – solo apparentemente pia – che riporta ben presto alla retta via.

MIRACOLO DEL FAZZOLETTO E LA PROTEZIONE DELLE GESTANTI

Gerardo è conteso nelle case nobiliari per la docilità e chiarezza con la quale svela i misteri divini. In una di queste profetizza velatamente il dono di futuro protettore delle gestanti, dunque delle mamme e dei loro bambini. Il futuro santo ha trascorso diverso tempo a Oliveto Citra per sottoporsi a cure mediche, prima di rientrare a Materdomini passa a salutare la famiglia Pirofalo. Nel congedarsi viene inseguita dalla bambina piccola di casa che tenta di restituirgli il fazzoletto che ha dimenticato su una sedia: tienilo, potrebbe servirti un giorno le dice sorridendo con naturalezza. Qualche anno dopo la ragazza rischia di morire di parto, le tornano in mente le parole del santo che solo ora comprende essere profetiche; chiede dunque che le venga portato il fazzoletto che Gerardo le ha donato: prodigiosamente i dolori passano all’istante non appena il tessuto viene steso sul ventre della ragazza. Il parto diventa semplice, veloce e il rischio di morte scompare sia per la madre che per il nascituro. Diffusasi la notizia di quel prodigio il fazzoletto è ridotto in fili e diviso tra la gente che custodirà il prezioso frammento di tessuto come reliquia. Da allora il santo è invocato dalle gestanti per il miglior esito della gravidanza, e il fiocchi colorati che affollano l’omonima sala nel santuario di Materdomini ne è la prova.

Fonte: Miracolo di San Gerardo