Confraternita

CONSIGLIO CONFRATERNITA

1. ANTIMO GIANNINI Priore

2. VITO CAPUTI Vice Priore

3. VITO DUCANI Cassiere

4. LILIANA EPICOCO Consigliera

5. SALVATORE SIANO Consigliere

Nella storia religiosa mesagnese le confraternite erano importanti sodalizi rette da un priore e da un cassiere che era tenuto a rendere conto dell’amministrazione ai confratelli. I soci avevano una propria divisa: sul camice o “sacco” indossavano un piccolo mantello chiamato mozzetta. Un ruolo importante ebbe la confraternita di Mater Domini la quale si caratterizzò nel corso dei secoli per la grande devozione verso la Madonna e per la sollecitudine con cui, attraverso donazioni personali e offerte varie, arricchirono la Chiesa e gli altari. La confraternita fu eretta nel 1662 per volontà dell’Arcivescovo di Brindisi, Francesco Ramirez. Essa fu nota prima come Congregazione degli “Schiavi di Maria” come risulta fino alla seconda metà del 1700.

Dal tempo della sua fondazione, fino ai nostri giorni essa è sempre stata attiva, favorendo il fervore di opere che portarono all’ampliamento della cappella e a un suo più ricco arredo. La componente sociale della confraternita era essenzialmente costituita da laici, uomini e donne, di modeste condizioni economiche e per questo nota come “compagnie di villani”, notizia appresa dalle antiche delibere e dalle visite pastorali. Non mancarono tuttavia periodi di maggiore debolezza dovuti ai contrasti sorti all’interno della congrega ma soprattutto a problemi di carattere economico, che le impedirono di provvedere alla manutenzione e ai restauri necessari di volta in volta alla Chiesa e la costrinsero ad indebitarsi col Capitolo e con i Padri Conventuali. Non meno importante fu l’impegno zelante e l’ammirevole generosità dei suoi membri grazie ai quali la Cappella di Mater Domini divenne un insigne testimonianza di pietà popolare.

Il devoto ossequio tributato alla Madonna è testimoniato dalla donazione del canonico Raffaele Dormio. Nel suo testamento scritto presso il notaio Giuseppe Antonio Luparelli nel 1721, egli prevedeva la vendita dei suoi beni consistenti in alcune case per il prezzo complessivo di 400 ducati. Il canonico aveva anche deciso che una parte della somma andasse a beneficio dell’acquisto della corona a Gesù bambino e alla Madonna perché le prime erano state rubate. Si incaricò l’arciprete di farle venire da Napoli.

La questua delle elemosine costituiva la sola e unica fonte di ricchezza per la confraternita, dimostrandosi spesso insufficiente anche per le spese più ordinarie. La necessità di reperire i fondi era pressante poiché il tempio necessitava spesso di restauri. I confratelli si trovarono alle prese con questo genere di problema nel 1751, alcuni anni dopo il terremoto del 1743. In conseguenza di questo avvenimento l’edificio aveva subito gravi danni soprattutto alla cupola e alle sue arti superiori. La decisione di dare inizio ai lavori fu deliberata nei primi mesi del 1751, ma non fu approvata unanimemente. Infatti alcuni soci della confraternita avevano commissionato nel marzo dello stesso anno i lavori di indoratura del cappellone al maestro Toma Galiano della città di Lecce. Alcuni soci invece di curare i lavori veramente necessari all’edificio avevano ritenuto più giusto proseguire l’indoratura del cappellone. La controversia nacque perché si era impiegato il denaro che serviva alla riparazione della cupola danneggiata dal terremoto e utilizzato nella decorazione della Cappella. Dovette intervenire l’Arcivescovo per denunciare le omissioni commesse da quei soci nell’ambito amministrativo.

Nelle relazioni di verifica del tempio effettuate dai maestri fabbricatori tra cui Nicola Capozza, questi sostiene l’urgenza di intervenire tanto sulla cupola quanto sull’intero corpo e osservando che il cupolino è sprovvisto di vetri e indebolito a causa del terremoto. Fa notare ancora che tutto il fabbricato ha preso molta umidità e che se non si ripara a tempo, potrebbe causare maggiore danno. Dopo poco tempo, nel luglio del 1751, la confraternita commissiona al Capozza i lavori di restauro della cupola e delle volte. Dal 1751 agli inizi del novecento la vita della confraternita ebbe uno scarso fervore e una debole attività spirituale. Il 25 aprile del 1908 del canonico Cosimo Martucci Clavica fa una relazione all’Arcivescovo di Brindisi nella quale scrive che nel 1906 Angelo Raffaele Pacciolla, per grazia ricevuta, faceva decorare a sue spese la cappella dell’altare maggiore facendo dipingere una iscrizione che ricordava il proprio nome di donatore. La confraternita chiese al Pacciolla la cancellazione di quell’epigrafe.